L'aria del centro quel giorno sembrava una valida alternativa all'assunzione coatta di gas Nervino. L'assenza di nuvole, che nei mesi invernali lasciava puntualmente a secco il capoluogo piemontese, aveva creato sulla Mole una meravigliosa serra di idrocarburi, tanto che un estratto di cannabis indica fu l'unico modo per regalare un po' di vita ai polmoni, durante l'allegra passeggiata in via Po.
Scopo della capatina nel centro di Torino la disperata ricerca di una manciata di biglietti per il ghiotto concertone che il buon Enrico Ruggeri avrebbe tenuto a fine mese in un locale di via San Massimo, peggio conosciuto come il
BARRUMBA.
Quel nome evocava alla mia memoria il marciapiede sul quale un tipo era stato ammazzato di botte perché aveva starnutito, ma anche uno dei peggiori Capodanni della mia vita ed era il posto più improbabile presso cui fare un concerto. Oggi, però, sembrava più una saracinesca chiusa.
Come se non bastasse, sull'ingresso sprangato non c'era traccia di orari, di biglietteria o altro e così, cazzeggio per cazzeggio, feci un giro per i negozi circostanti, ottenendo come corale risposta:
"Il Barrumba??? Ma non fa prevendita da due o tre anni!!!"
Mi rassegnai alla constatazione che dal vivo a questo mondo, senza un pelo di pheega, non si ottiene un benemerito cazzo, così consultai il fedele internét e vidi che la prevendita c'era, ma solo online.
Sospettando un probabile pacco, affibiai l'incombenza alla persona giusta: l'autistico
GRUMO.
Dopotutto, l'idea di Ruggeri era stata sua...
-----Messaggio originale-----
Da:
Grumo
A:
Marok
Data: mercoledì 23 gennaio 2002 20.46
Oggetto: Re: Via!
Fatto.
Il concerto inizia alle 22:30.
Vediamo come fare per ritirare i biglietti.
Il finale mi lasciava parecchio perplesso... si preannunciava una bella serata.
29 GENNAIO 2002
Mi svegliai più in coma del solito. Additai a capro espiatorio il doppio malto di qualche ora prima, poi mi accorsi che la stanza era stranamente priva di luce. Vi regnava un buio innaturale che mi dava del coglione per essermi svegliato. Giustamente.
"Hai visto che c'è brutto tempo? - esclamò MammaMarok con aria soddisfatta, mentre cercavo ad occhi chiusi la porta del cesso
- Un buon motivo per studiare, oggi, no?"
"Non sono così disperato!" risposi.
Lo dico sempre, ogni mattina, poco prima di guardarmi allo specchio.
Ammirando l'insolita foschia londinese che dipingeva di grigio fumo le strade, mi incamminai verso la stazione di Porta Susa per raccattare l'autistico Grumo, che sarebbe arrivato da Milano.
Lungo il cammino, iniziai ad ipotizzare che il repentino peggioramento degli eventi atmosferici e il nostro imminente incontro ravvicinato potessero avere qualcosa in comune, ma era presto per azzardare ipotesi: era ancora il tempo delle certezze.
Ad esempio, se il tram numero 1 ci aveva messo mezz'ora a fare il percorso che di solito fa in dieci minuti, facendomi arrivare in ritardo, il treno di Grumo non poteva che arrivare in anticipo.
Risultato: il giovane Grumo tra il parcheggio taxi e l'entrata della stazione fissava con aria apatica il mondo circostante, mentre sulla testa gli si leggeva il fumetto:
"Dove cazzo è quell'handicappato di Marok?"
Finalmente Marok apparve, con la solita faccia da stronzo di chi arriva in ritardo di una vita e non azzarda neanche l'ombra di una scusa.
Con un sorriso a trecento denti e le punte dei baffi che gli grattavano la riga del buco del culo, mi salutò.
Consumammo un ottimo pranzo a base di Cheesburger alla mucca pazza al McDonald della stazione, poi ci dirigemmo verso l'albergo dove avevo la stanza (tanto pagava mio padre...).
Alla fermata del tram, consegnai di soppiatto al Giovane (!) Marok la sua tessera del
Bin Laden fan club" (vedi
recensione di Firenze), lasciapassare universale per qualsiasi tipo di avvenimento, dal backstage di un concerto alle apparizioni in pubblico di Bush.
Poco dopo, Marok ricevette una telefonata di un handicappato chiamato
Beat che intendeva mandare in allegato tutto l'hard disk, senza peraltro zippare niente, dato che il concetto di compressione gli era assolutamente estraneo, e voleva sapere come fare. Ci volle una buona mezz'ora solo per sillabargli WinZip; da allora non abbiamo più avuto sue notizie: se avete di recente ricevuto un virus che rende il vostro computer completamente handicappato, probabilmente è Beat che si è autoinviato a tutto il mondo.
Arrivati in albergo, lasciai in camera il peso inutlie, e ci avviammo a girare quella splendida città: oddio, splendida, c'era un tempo tanto di merda...
Marok mi condusse attraverso le vie del centro, credo di aver fatto a piedi il giro di Torino due volte in circa cinque minuti, passando per cortili interni e stradine assolutamente sconosciute.
Mi descriveva i palazzi che stavamo passando, e ora che il suono arrivava dalla sua bocca al mio orecchio eravamo già due isolati dopo.
È sempre un piacere far mostra ad un ignaro turista di bellezze locali quali il
Palapiercing o la torre Littoria, un insulto architettonico a forma di parallelepipedo del quale nemmeno la foschia riusciva ad occultare tutta la rivoltante oscenità.
Ma sono sempre i migliori quelli che se ne vanno, così lasciammo il viavai delle strade e l'annesso figaio per fare una capatina sulla Mole e dare una sbirciatina al museo del cinema, che in tutti questi anni non avevo mai trovato il tempo di visitare.
Grumo era un'enciclopedia ambulante, snocciolava trama, autore, data e dettagli tecnici di un milione e mezzo di film dei quali ignoravo completamente l'esistenza! Finché, di fronte a
"Totò a colori", sentenziò:
"Ah, questo non l'ho mai visto!".
Sono cose strane...
Navigammo tra macchine sperimentali, locandine, proiettori e
cessi per un paio d'ore, finché non proposi al giovane Grumo di salire in cima alla Mole.
"C'è un panorama stupendo!" gli assicurai.
Fu un'idea molto saggia: la cima della Mole era posizionata esattamente in mezzo a una nuvola, così si vedeva molto bene la casa di sotto, con relative macchine parcheggiate.
Intorno, il nulla.
Ci lasciammo alle spalle il museo e andammo a fare un sopralluogo al Barrumba, per vedere se esisteva ancora.
Trovammo dei tipi che stavano pulendo il locale; ad occhio e croce ne sapevano quanto noi, invece seppero spiegarci che i nostri candidi bigliettini stampati da internet ci davano diritto ad aspettare che il Barrumba aprisse per poi fare la coda alla cassa, pagare ed entrare.
Minchia! Chissà se non li avessimo avuti...
Per ingannare l'attesa, decisi di completare l'opera di informazione geografica mostrando a Grumo qualche altro orrore architettonico di rilievo, come l'abside rettangolare cementificato delle due chiese settecentesche di piazza San Carlo (per la precisione: piazza CLN) o il giardino dei tossici di Porta Nuova.
Avrei voluto proseguire l'opera con Mirafiori e Falchera, ma tanta bellezza ci aveva già messo appetito, così decidemmo di fare uno spuntino, approfittando del vicino
Brek.
E bastò sederci a tavola perché, dopo cinque minuti, telefonasse la
Caiazzo.
Purtroppo, non c'era il
Favone a farla contenta dandole della troia. Ne fece le veci il giovane Grumo, intavolando un discorso a tre che aveva come principale argomento le deiezioni corporali di eliatica memoria.
Andammo avanti mezz'ora (tanto pagava la Caiazzo!), attirando le benedizioni di una vecchia che stava mangiando al nostro fianco e a cui sembrava che la merda non conciliasse l'appetito.
All'uscita dal Brek, però, ci attendeva una nebbia inquietante: era la prima volta che non riuscivo a vedere il lato opposto di Piazza Carlo Felice, tossici compresi, senza prima essermi inebriato di un litro di nettare alcolico.
Se ci fosse sempre nebbia, berrei molto meno.
Se ci fosse sempre Grumo, sarei astemio.
QUELLI CHE ASPETTANO...
Facemmo che tornare al Barrumba; erano appena le otto e mezza, ma un po' di gente era già arrivata.
Io e Marok ci piazzammo davanti alle porte del locale, schiacciati in un metro di marciapiede da sette o otto cassonetti posizionati giusto davanti alla saracinesca.
Dall'interno del Barrumba provenivano suoni ovattati e soffocati: il buon Ruggeri stava provando. Indecisi se tentare un'irruzione con la
tessera del Fave o quella del Bin Laden Fan Club, notammo che la gente in coda aumentava, così come il quoziente medio di handicap: un tipo arrivò addirittura a chiedere a NOI a che ora avrebbero aperto i cancelli. Fu così che conoscemmo
Corrado.
Era un tipo strano, parlava in continuazione... assomigliava un po' ad Ivan Piombino, un fan storico di Elio e le Storie Tese che da un paio d'anni era scomparso dalla circolazione perché aveva trovato una tipa.
Ci disse che suonava la batteria, che gli piacevano i Beatles... queste due cose, sommate, gli valsero il nickname: RINCO STARR.
Il tempo passava e davanti alla saracinesca arrivò anche mio padre; passammo il tempo recitando per intero due o tre annate di Zelig e salutando Enrico e band che uscivano per andare a mangiare.
Tanto per concludere in bellezza l'attesa, squillò un cellulare con una suoneria invidiabile: quella di James Tont!!! Il favoloso mondo dell'handicap.
Dopo un po' finalmente la saracinesca, per mano divina, si alzò. L'entrata del Barrumba consisteva di due porte: una davanti a noi e l'altra a un metro di distanza, irraggiungibile a causa di una muraglia di persone. Ovviamente si entrava da quella.
Il buttafuori annunciò che dovevano passare prima quelli con la prenotazione, ma ovviamente nessuno controllava.
Per fortuna il Giovane Marok è meglio di un anguilla (e lo aveva dimostrato anche a
Firenze il primo novembre): si infilò tra la gente e riuscì ad impossessarsi dei biglietti a cui avevamo diritto.
Era obbligatorio lasciare gli zaini al guardaroba, così prelevai dallo zaino tutto l'occorrente per registrarmi il concerto.
Ebbene sì, fu con questo pensiero che il giovane Grumo discese in tutta fretta la scalinata e si unì a quei due compari che ostentavano con fare sicuro la propria pole position.
In effetti non c'era nessuno davanti a noi, erano tutti di fianco: essendo già occupati tutti i posti
"convenzionali" della prima fila, ci eravamo rannicchiati a lato del palco tra i microfoni e le casse, tra i coltelli e il caffè.
"Se appoggio il minidisc sulle casse viene bene la registrazione?" mi chese l'amico Grumo.
"A parte il fatto che salta di continuo e non si sente un cazzo, sì!" gli risposi.
Rinco Starr, incuriosito dalla nostra registromania, chiese a Grumo di mostrargli il mitico minidisc, così avremmo potuto dire due cazzate prima del concerto.
Grumo, con fare sicuro, tirò fuori dal marsupio il prezioso strumento e si apprestò ad inserirvi il microfono.
Per un attimo ci guardò con aria smarrita, quasi come se non lo trovasse, poi, cercando meglio, arrivò alla logica conclusione:
"Ops... l'ho dimenticato nello zaino!"
"Ah... e dov'è lo zaino?"
"Be', è nel guardaroba!"
Avremmo seguito volentieri l'autistico Grumo per vedere che faccia avrebbe fatto la tipa al bancone quando si fosse vista arrivare un giovane in procinto di infrangere contemporaneamente il divieto di ritirare la roba se non all'uscita, il divieto di effettuare registrazioni audio/video di qualunque natura e, soprattutto, il divieto di rompere i coglioni.
Solo la consapevolezza che era nostro compito difendere saldamente la pole position ci allontanò dalla tentazione di gustarci l'imminente gioiosa scenetta, consigliandoci di abbandonare l'handicappato al suo triste destino, abbioccandoci sul palco e contemplando apaticamente il figaio che ci circondava.
L'attesa non fu lunga, Grumo tornò quasi subito dicendoci che le tipe al bancone si erano un po' incazzate per la saturazione coglionica, ma non avevano visto il corpo del reato. Perciò tutto sommato era ancora andata bene... poteva esser peggio...
"Ok - disse Rinco Starr
- diciamo due stronzate al microfono?"
"Ok!" disse Grumo, e fece per premere REC.
"Ops..."
"Che c'è ora?"
"Ehm...
ho dimenticato...
le pile...
NELLO ZAINO!"
Il fondale dell'abisso del pianeta Handicap iniziava a mostrarsi in tutto il suo splendore.
"Va be' - suggerì Rinco Starr
- te ne vai su al guardaroba, gli dici che sei un malato terminale e che se non pigli delle medicine che hai nello zaino crepi!"
"Eh... ma quando vedono che prendo delle pile?"
"Digli che sono per il pacemaker - commentai
- perché si sta scaricando!"
Stranamente, Grumo non era convinto.
"Dai, cazzo, vada uno di voi due, che non vi hanno ancora visto! Io sono andato già prima..."
"Eh, ma lo zaino da handicappato se lo ricordano comunque..."
"Vabbe', figurati, saranno entrate cento persone finora!"
"Uhm... ma dove le tieni le pile?"
"Ah, è facile, sono nella tasca davanti, quella piccolina..."
Ricordandoci il milione e mezzo di tasche che aveva lo zaino di Grumo e pensando alla faccia di quelli al bancone quando ci avessero visto ravanare per tre ore nello zaino di un altro spacciato per il nostro, per poi nella migliore delle ipotesi estrarne delle pile, Rinco Starr ed io giungemmo ad un'unanime conclusione:
"Grumo, sali e torna vincitore!"
Lo vedemmo tornare qualche minuto dopo, tutto soddisfatto, annunciandoci:
"Mi hanno dato lo zaino a patto che stasera me ne vada per primo!!!"
Il Santo protettore dell'handicap ci aveva aiutato ancora.
Finalmente preparai tutto per registrare e, poco dopo, si abbassarono le luci: INIZIAVA IL CONCERTO!!!
IL CONCERTONE
Un tecnico del suono
impose a me e Marok di stare un po' indietro; io guardai dubbioso la congestione di corpi che mi stava alle spalle, e pensai di mandare affanculo quel tecnico che doveva essersi fatto un po' troppe pippe; invece risposi solo:
"Eh, se si spostano quelli dietro, sì!".
Intanto la band saliva sul palco e mi accorsi che Marok, se non stava attento, avrebbe potuto prendere una chitarrata in faccia da Schiavone. Sarebbe stato un bel momento.
"I dubbi dell'amore" con il suo inconfondibile inizio diede l'avvio al concerto, che proseguì poi con
"Il Giudizio universale".
Poco prima, Rinco Starr si era lamentato di non avere mai sentito
"Beneficio d'inventario" dal vivo. Delle volte, nella vita basta chiedere: un'intro di pianoforte ci regalò il suddetto brano, seguito poi dalla mitica
"Nuovo swing".
A questo punto, Enrico introdusse
Andrea Mirò, sua compagna sul palco e nella vita, che ci deliziò con canzoni che non conoscevo ma che scoprii molto belle:
"Stanza 24",
"Romanzo popolare" e
"Opinioni di un clown", tratta dall'omonimo romanzo di Heinrich Böll.
Ma presto Enrico riprese il comando, e trascinò il pubblico con
"Bratiska", storia di un amore impossibile, con la sua nuova e nostalgica opera
"La vie en Rouge" (questa volta ero io ad essere accontentato) e con la sigla dei giro d'Italia:
"Gimondi e il Cannibale".
Un intro in stile tango ci portò poi alla nuova versione di
"Polvere", dal tour
"L'uomo che vola".
Un altro inconfondibile inizio ci fece esultare: era il momento di
"Quello che le donne non dicono", scritta per Fiorella Mannoia e uno dei cavalli di battaglia di Enrico.
Il pubblico si scatenò con il karaoke dei vari ritornelli, che credo di non avere mai sentiti cantati da Ruggeri.
"Ti avrò" e
"Anna e il freddo che ha" portarono avanti il concerto, quest'ultima corredata della fantastica voce di Andrea Mirò.
"E ora una canzone tratta dall'album che ha venduto meno", annunciò Enrico: ed ecco partire
"Ulisse", con le ultime note prese invece da
"Fango e stelle".
Enrico salutò il pubblico, e l'intera band sparì nel camerino.
Dopo qualche minuto di attesa, eccoli tornare, mettere mano agli strumenti,e suonare un intro rock che non conoscevo come canzone di Enrico; si trattava infatti di
"Jingle Bells" in stile rock pesante.
"Non vi avevamo fatto gli auguri di Natale!" spiegò
Enrico.
Il concerto si chiuse con le immancabili
"Mistero",
"Peter Pan" e, ovviamente,
"Contessa".
Capimmo che il concerto era veramente finito.
"Che dici, prendo la scaletta?" mi chiese Marok che era a pochi centimetri dal foglio.
"Sì, sì, dai, che poi ce la teniamo!".
Allungò il braccio, afferrò il foglio di carta e un allarme scattò all'istante:
"Ehi, cosa fai? Oh! OH!! AHÒ!!!".
Era il chitarrista
Schiavone, che si era accorto del tentativo di furto.
In un picosecondo Marok ripose la scaletta esattamente dove l'aveva trovata, stirando e lustrando il foglio.
"Ma perché???" ci e si chiese l'attonito musicista, che non si capacitava del motivo per cui un gruppo di handicappati fosse interessato alla sua scaletta.
Poi, forse accorgendosi di essere stato un filo troppo rude (ma giusto un filo) ci spiegò:
"Mi serve per domani". Nessuno doveva avergli ancora spiegato l'esistenza delle fotocopiatrici.
Le luci si riaccesero, la gente cominciò a defluire, ma notammo che alcuni si fermavano.
Forse che Enrico e Band avrebbero incontrato i fan?
Sì, a quanto pareva era così.
Memore del patto che avevo fatto con le guardarobiere, decisi... che mi SAREI FERMATO, uscendo quasi per ULTIMO!!!
Al pensiero che la band stesse per concedersi all'assalto dei fan, la scarsa ma ordinata manciata di neuroni del giovane Grumo iniziò a girare vorticosamente su se stessa, provocando nel mare dell'handicap un moto ondoso che si propagò al microcosmo circostante; l'inevitabile risultato fu una coda interminabile di fronte alla porticina del camerino.
A Grumo intanto venne in mente che non aveva nulla da farsi autografare, così girò per il locale come un disperato finché non trovò il fondale ideale: un foglio di giornale su cui c'era la reclame dell'Euro. Era perfetto.
I RAPPORTI UMANI
Dopo un breve incontro ravvicinato con gli ottimi strumentisti, riuscimmo finalmente a varcare la soglia del privé, dove Enrico e la bella Andrea ci aspettavano, completamente fusi.
Il tempo di una foto in compagnia e di qualche
autografo sulla reclame dell'Euro (allego la scansione, altrimenti non ci credete!) e ce ne potemmo andare soddisfatti.
Stavo già raggiungendo la cassa, quando incrociai Billa The Kid.
"Ehi... sei tu che ti sei preso la scaletta???"
"Eh??? Ma... ma... gliel'ho ridata..."
"Ah sì eh?! Vieni con me!"
Un po' impaurito, ma al tempo stesso incuriosito, seguii il musicista che, arrivato ad una valigetta, la aprì e ne tirò fuori un foglio stampato.
Una diffida ad avvicinarsi ad ogni palco da oggi fino a
?
No!
LA SCALETTA!!!!!!
La vita non la smetteva mai di stupirmi.
Chi era più fortunato di me?
Mi voltai e vidi Enrico che autografava le tette di una bionda mozzafiato.
Avevo avuto la mia risposta.
Sulla tessera, c'era scritto che avevamo anche diritto a una consumazione gratis e così, prima di uscire, ci facemmo una birra.
Quindi, ci avviammo verso l'uscita.
"Ah... dovete pagare la consumazione!"
Per pochi spiccioli, preferimmo non obiettare nulla: avevamo già oltrepassato ogni limite.
In compenso, al guardaroba avevano deciso che Grumo doveva sopravvivere, almeno per poter soffrire ancora: gli restituirono lo zaino per la terza volta in una sera, senza l'aggravante dell'omicidio.
L'ORA DEL RIENTRO
Solo una volta all'aperto, potemmo constatare come tutto ciò che avevamo finora vissuto era stato vano: se noi esistevamo ancora, il mondo intorno era scomparso, completamente inghiottito dalla nebbia più fitta che io abbia mai visto in quel di Torino.
Arrendendoci di fronte alla cacometeorologia che la presenza di Grumo evidentemente comportava, ci avviammo mestamente verso casa, usando come uniche stelle polari gli aloni lampeggianti dei semafori ai bordi delle strade.
Per la prima volta dall'anno zero, la nebbia arrivava fin sotto casa mia: il giovane Grumo aveva colpito ancora.
E così, ringraziandolo a nome della città per la sua nebulofora presenza, potemmo finalmente salutarci, pronunciando anche questa volta l'ultimo, fatidico vaffankulo.