Ci svegliammo che non era neanche mezzogiorno.
Dopo un'oretta di minacce e reciproche accuse su chi avrebbe dovuto
portare il caffè e aveva invece portato barattoli vuoti,
ritornammo nella zona del Casinò, sia per vedere se i croupier
avessero fatto buon uso dei nostri soldi, sia soprattutto per vedere
se almeno di giorno qualche cazzo di anima popolasse il paese.
I pochi indigeni dotati di attività biologica si rivelarono
concentrati intorno a un'improbabile pista di pattinaggio. Era la
buona occasione per accelerare la terminazione entropica di Elena
e Nico, ma non risolveva il problema principale: trovare un riparo
da quella merda di vento.
Seguendo gli autoctoni ci rifugiammo in una chiesa, dove si stava
celebrando una Messa con sottofondo di Canti Gregoriani.
Chiunque in quella chiesa, per quanto decerebrato fosse, riusciva a
leggere il pentagramma sul libretto e cantare senza problemi.
Chiunque compresi i francesi, chiunque tranne noi ed un barbone,
che ronfava della grossa due panche più dietro, in compagnia
di una coperta e due fiaschi di vino.
Di tanto in tanto mi piaceva osservarlo, in lui vedevo un po'
il mio futuro. Finché non si sentì il rumore
di un liquido che colava per terra.
Pensando che il barbone avesse rovesciato il vino ci voltammo e
constatammo come il nostro amico stesse allegramente pisciando sul pavimento
della Chiesa.
È in frangenti come questi che è facile ammirare la magnificenza
di un gruppo di italiani all'estero: le risate e i relativi decibel
disegnavano intorno ai nostri corpi degli inconfondibili aloni viola.
Capimmo che era ora di lasciare Port Frejus.
Potemmo così scoprire che la mitica St.Tropez ha solo due strade,
che eravamo così handicappati da riuscire a perderci anche
in quelle uniche due strade e che l'unico motivo per cui ci eravamo ritrovati
era che le nostre erano le uniche due macchine in circolazione.
Non ci rimase che sedimentarci nello squallido deserto del lungomare,
girovagando tra locali chiusi da mesi se non da anni,
mentre Daniela si fermava due ore a contemplare ogni barca
(ed eravamo in un porto!),
e il vento porco continuava a frustarci i coglioni.
Solo allora i miei sospetti avrebbero avuto la definitiva conferma:
l'ultima mia immersione nella figa dell'anno 2001
sarebbe stata l'ultima corsa pomeridiana sul pullman 2.
In ogni caso, la mezz'ora di caccia all'autoctono portò come unico
risultato barboni e tipi sversi, ovviamente italiani,
secondo i quali l'unico locale aperto era una discoteca dalla quale
erano appena scappati perché gli faceva troppo schifo.
Le discoteche in sé mi hanno sempre indotto allo sbocco in
maniera endemica, ma pur di isolarmi da quel vento di merda sarei
stato disponibile a passare l'intera serata a farmi uno shampoo con
lo sciacquone del cesso della peggiore toilet della Scozia: accolsi
la proposta con un discreto entusiasmo.
Non altrettanto fecero gli altri, quando si accorsero che era chiusa.
"Ma è proprio chiusa?" chiedemmo a un buttafuori che stava lì
davanti.
In quei paesi erano TUTTI italiani. Il buttafuori non parlava
italiano. "Però è aperto qua sotto!" ci mimò a gesti.
"Qua sotto" ci sarebbero anche potute essere le fogne di
Calcutta, vi ci saremmo tuffati dentro lo stesso.
Ci mettemmo un po' a realizzare che il nostro attuale ecosistema
consisteva in una birreria più vuota dei nostri encefali,
privata di illuminazione artificiale nell'ingenuo tentativo
di nascondere lo schifo che dilagava ovunque.
"Vi porto un menu?" ci chiese un cameriere.
Cos'è il genio? Fantasia, intuizione, decisione e... velocità di
esecuzione!
"No, grazie! Ce ne andiamo!"