L'ANTEFATTO
Varcai il portone della chiesa con aria circospetta, quasi smarrita. Disorientamento, misto a rassegnazione.
Fissando gli invitati in giacca e cravatta, i coriandoli, i secondi dell'orologio che durante la predica rallentavano fin quasi a fermarsi del tutto, pensavo che è buffo come le disgrazie a volte piovano sul nostro handicap: non secondo una disposizione casuale, ma seguendo piani prestabiliti e ponderati mesi, forse anni, addietro.
Un po' come se le gocce di quel liquido marrone che è la nostra vita cadessero come missili telecomandati da distanze infinite, inimmaginabili, nati in un universo ancora in formazione ma pronti a centrare sempre, immancabilmente il loro obiettivo.
E così, quando un pomeriggio d'estate, l'amico
Mingo
mi disse:
"Oh Marok, mi sposo il 22 settembre!", io accolsi la notizia con animo sereno, seppure un po' annoiato: sarebbe stata più che altro una
sua disgrazia, dopotutto,
mica mia!
Poche ore più tardi, visitai il
sito del nostro amico coglione e lessi:
"Panino day rimandato al 22 settembre" pensai
"Ah, va be', meglio, perché io il 14 ci avevo da fare..."
Fu solo alcuni giorni dopo che mi resi conto:
due date, se hanno ugual giorno, mese e anno, cadono contemporaneamente. La scoperta mi lasciò sbigottito, sgomento, mi risollevai solo a tarda sera con un lieto calumet della pace: vidi l'universo che si stava sdoppiando e compresi di poter raggiungere l'ubiquità. Ero salvo.
Diradate le nebbie e l'aroma del narghilé, passai i giorni successivi considerando di fare pacco alternativamente all'uno o all'altro evento, finché non mi venne in mente l'ipotesi più catastrofica: me li sarei sparati entrambi!!!
Ovviamente, uno che nasce per rompere i coglioni lo fa fino in fondo, con arte e stile, e non si sposa a Torino, o in qualunque posto civilizzato: si sposa a
Castell'Alfero, il paese più inculato dell'Astigiano.
Ovviamente, il Panino Day non poteva che essere a
Crema, paese natale del grande Paolone Panino Feiez, nonché epicentro della nebbia Padana, nonché paese più inculato della Lombardia.
È in questi momenti che un uomo deve prendere l'handicap dalla parte del manico: quella cosa che condiziona tutta una vita, doveva diventare l'arma vincente! L'handicap, proprio l'handicap mi avrebbe salvato: telefonai al
giovane
Iko!!!
"Pronto Iko, sono Marok, ci vieni al Panino Day?"
"Uhm... eh... non so..."
"No perché c'è Ike Willis..."
"Ah... ok, prenoto i biglietti!"
La ruota dell'handicap iniziava a girare.
Nell'arco di ventiquattr'ore, riuscii a convincere gli sfigati che venivano con me al matrimonio a scaricarmi al casello di Asti Est subito dopo il tragico messone in chiesa e, soprattutto,
riuscii a convincere Iko che la Torino Piacenza, che passa per Asti Est, fosse la strada più breve per arrivare a Crema.
"Marok, ma sei sicuro?"
"Cazzo! Ci mettiamo la metà!"
"Boh, vabbe'..."
"Ah, per fare più in fretta, io faccio che aspettarti ad Asti!"
"Ah... sì, Asti è sulla Torino Piacenza... sì, grazie, ottimo! Ti carico ad Asti Est!"
L'handicap aveva funzionato, la speranza era risorta: partiva la MISSIONE CREMA.
L'AMORE
Il matrimonio era finito in maniera quasi indolore. Nonostante le due ore di predica, che avrebbero annullato l'effetto di un'apnea nella cocaina, e malgrado le scene lacrimevoli delle coppiette che mi circondavano (anche stavolta gli unici diversamente figamuniti erano il prete e il sottoscritto), ero ancora vivo! Verso l'una e mezza, ero già fuori dalla chiesa, alle due ero ad Asti Est e alle tre avevo già adagiato il mio lato posteriore sul Cherokee verde del giovane Iko, che ci avrebbe condotti a destinazione.
Durante il tragitto ci saremmo sicuramente sentiti soli, se non fosse stato per le amorevoli telefonate ricevute dalla
bella Sara Caiazzo,
insaporite dal trasporto amoroso verso il giovane Max Kava: raggiunsero complessivamente la durata di due ore. Stima per difetto. Solo durante il viaggio, naturalmente. Poi ci avrebbe richiamato in serata, per ribadire il concetto. In certe occasioni rimpiango di non essere sordo...
Più andavamo verso Crema, più il tempo diventava una merda.
In caso di maltempo, ci avevano assicurato che il concerto si sarebbe fatto al coperto, dentro l'università. Arrivammo a Crema che stava piovigginando e il palco era stato montato completamente all'aperto, in mezzo a un parco.
Collocazione più che idonea, anche perché era il parco del nosocomio.
Sarà stato il tempo di merda, o il nosocomio, o l'handicap, ma la prima persona che incontrammo fu il
Favone Grassone,
accompagnato dall'amico
Caciorrone.
A poca distanza, le
Fave Romane ed Etrusche,
che lo fissavano ammutolite mentre ci salutava con
un sublime "SBORROH!" ruttato.
Pura poesia.
A proposito: se le fotografie di questa pagina vi sembrano, come dire,
"bizzarre", sappiate che le ha scattate il giovane Iko, con la sua mitica
macchina fotografica digitale, che va a floppy. Un giorno varranno milioni!!!
Lascio ai posteri decidere la valuta da utilizzare per la compravendita.
Il primo degli Elii a farci visita, invece, fu il grande Sergione, carico di amore, pace e speranza per il futuro!
"Rocco, che ci racconti?"
"Vi racconto che LA PIOGGIA È UNA MERDA!"
Era indubbiamente di buon umore e la cosa ci confortava, dal momento che avremmo passato le quattro ore successive davanti al palco e sotto la pioggia,
attendendo il soundcheck, avendo come unico intrattenimento le telefonate della
Caiazzo:
ogni volta mi chiedeva di passarle Cesareo e ogni volta finiva inevitabilmente col parlare con il Favone Grassone che le dava della troia. L'unico modo per renderla felice.
Col passare delle ore, il successo del Favone aumentava, tanto da portarlo ad essere meta di pellegrinaggio da parte delle fave che lo conoscevano solo per sentito dire (grazie ai racconti di un sito, dicevano...) e non credevano che fosse reale. Tuttavia gli unici due a cui il Favone rivolse la parola furono Shan, con bestemmie, e Arale, accolta con il messaggio:
"Fuori dai coglioni, sei contagiosa!"
Poco dopo, l'incoraggiante annuncio della
Bolbo:
"Conservate il biglietto che, se rifanno il concerto, vi vale ancora!", diede finalmente il via al soundcheck.
Unico riparo dalla pioggia fu un telone improvvisato, che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto riparare le tastiere e le casse. In realtà tutto il palco si stava trasformando in un enorme brodo primordiale, con cicche di sigarette che galleggiavano in mezzo a cavi elettrici scoperti. Poteva iniziare il concerto.
Da qua in poi, solo banali foto a pellicola; ci scusiamo per il disagio.
IL CONCERTO (prima parte)
Annunciato dai
presentatori Elio, Linus e Mangoni,
sbocciarono i
Malcondita, vincitori di Sanremo rock, autoctoni di Crema e, di conseguenza, primo gruppo della serata.
La cantante era pheega e vederla dimenarsi sul palco era sempre un bel vedere!
Il chitarrista ed il batterista invece sembravano avere un serpente vivo nel sedere.
Non male, come antipasto.
Il secondo (e che secondo!) erano gli
Ossi Duri,
ottima coverband di Francone Zappa. Stasera suonavano tre canzoni della loro ultima produzione,
tutti testi molto raffinati, tra cui una bellissima composizione chiamata
"Balletto",
dedicata alle mosse da fare per camminare su un marciapiede senza pestare la merda di cane.
Si vede che avevamo vissuto molti anni nella stessa città.
Notevole inoltre il
tastierista immagine con la faccia di cazzi.
Poi, finalmente, gli Elii e la Biba diedero il via all'amore con le note di
"Mercy Mercy Mercy".
Fu più o meno allora che la pioggerellina si trasformò in diluvio e la natura umana che mi circondava iniziò la sostenuta marcia verso il biodegrado. Lentamente ma inesorabilmente.
Il concerto proseguì con la splendida
"Confians", per poi lasciare spazio all'armonica di quel sacramento di
Fabio Treves
e rifugiarsi nel repertorio degli Elii, con
"Cassonetto" e
"Abitudinario"
(bellissimo l'accompagnamento di armonica di Treves e violino di
Lucio Fabbri).
Segì la sommamente erotica
"El Pube", in una versione a dir poco strepitosa.
Sfortunatamente, l'orgasmo non sarebbe durato a lungo, a immagine e somiglianza dei vostri cazzi. Infatti, dopo una sola strofa, saltò l'impianto, trasformando l'esibizione in un caloroso karaoke.
IL CONCERTO (seconda parte)
Il caloroso karaoke rivelò l'assenza nel mondo di fave intonate, ma ebbe comunque i suoi lati divertenti, tanto che al termine, tornata la corrente, Sergione propose:
"Ok, ricominciamo?"
Non appena pronunciata questa frase, la corrente andò via di nuovo e il pubblico rock obbligò fisicamente Faso e Christian Meyer ad un assolo basso/batteria/percussioni. Ma chi suonava le percussioni?
Seminascosto dai riflettori sparati sulle nostre facce, c'era lui, il grande
Ike Willis.
"Oh singin' in the rain, singin' in the fucking rain!" accennava allegro il simpatico cantante zappiano, mentre raggiungeva il centro del palco.
La corrente era tornata, ma non si sapeva quanto a lungo sarebbe esistita, così fu salomonicamente deciso di spianare via tutti i brani in scaletta e passare direttamente al gran finale: ospiti d'onore i pezzi di Frank Zappa eseguiti con il caro, vecchio Ike.
Il primo brano fu
"The Poodle Lecture",
in cui l'anglofono cantante, tradotto da Elio in simultanea, narrava dei tre errori di Dio: l'uomo, la donna e il barboncino.
Quella sera, il barboncino era sostituito da un cane bastardo, perché
"costava meno"; anche stavolta, però il brano si concludeva con l'atto d'amore della donna che rasava il cagnolino e ne faceva buon uso.
Cotanto amore diede il via a
"Broken Hearts are for Assholes", sempre
struggente.
Come a Lugano, l'esibizione proseguiva con
"Why Does It Hurt When I Pee?" (
"perché mi fa male quando faccio la pipì?"), la bellissima
"Sofa",
"Tell Me You Love Me" e
"You Are What You Is", al termine della quale Elio presentò il complessino.
"E alla voce abbiamo avuto... IKO VILLESI!".
Inevitabili i cori
"Forza Iko!".
Il giovane Iko che avevo di fianco era discretamente soddisfatto.
Visto che l'impianto sembrava tenere, si decise di suonare ancora due pezzi del repertorio elico:
"Tapparella" (se non c'è Tapparella, che Panino Day è?) e
"Supergiovane", in cui il protettore Mangoni scopre che al mondo esistono le carriole e che
se ne può fare buon uso!
IL BACKSTAGE
Finito il concerto, tutti pensarono bene di spegnere ogni tipo di luce, così ci ritrovammo a sguazzare al buio sotto la pioggia nella melma, stile Vietnam.
Prima ancora del backstage, intanto, il giovane Iko aveva iniziato a dire:
"Basta adesso me ne vado a casa!".
Il cervello del nostro fido pilota stampava questa frase ad intervalli ravvicinati e regolari, andò avanti a cantilenare questo ritornello anche durante l'attesa fuori dal cancello e la penetrazione dietro il palco, tanto che lo considerammo un elemento del paesaggio e accogliemmo la cosa con naturalistica rassegnazione.
Il Favone, al contrario, quella sera sembrava mansueto, appariva calmo e rilassato! Mi resi conto di quanto tale diagnosi fosse errata solo quando venne colto da uno spasmo muscolare, diventò paonazzo, iniziò ad urlare:
"PAOLAPAOLAPAOLA!!!", si mise a correre e si scagliò verso una giovane donna, che si rivelò essere nientemeno che...
Paola Cortellesi.
Ognuno ha il suo incubo, d'altronde, la bella Paola non poteva fare eccezione (come testimonia
l'ultima foto,
scattata dal giovane Iko, con la digitale che va a floppy).
I romantici incontri, però, non finivano qua! Per la serie
"Carramba, che sorpresa!", era finalmente arrivato il momento che tutti aspettavano con ansia:
Rese
e
la Cicalona
erano a meno di un metro di distanza.
Lui guardava lei, lei guardava l'infinito.
Poi Rese ruppe il silenzio.
"Ho una cosa per te!" esordì Rese, consegnandole ufficialmente
un cd masterizzato di Alex l'Ariete.
La Cicalona gli sorrise, gli disse
"Grazie!" e lui se ne andò, soddisfatto.
Questo, in sintesi, fu il loro rapporto orale: breve, ma intenso.
L'AFTER
Nel frattempo, il sottofondo del giovane Iko: "Basta adesso vado a casa!" aveva anche aggiunto la variante: "Maxkava chissenefrega rimane qua!", il che era molto petico.
Prima dell'eventuale variante: "Marok e Maxkava chissenefrega rimangono qua!", esclamai: "Uffa, ce ne andiamo o no?"
Fu bello inseguire il giovane Iko nel buio del parco del nosocomio, mentre procedeva a passo spedito verso il Cherokee, dove peraltro avremmo aspettato il compare Max Kava venti minuti.
Dopo due tappe forzate in autogrill, perché il giovane Iko si stava decomponendo, arrivammo a Torino verso le quattro.
Però non eravamo soli: sotto casa Marok, ci si accostò una macchina sospetta.
"Scusa, mi puoi dare il telefonino?"
Attimo di gelo.
"Prego???"
"Eh... c'è un mio amico che sta male lì all'angolo, devo chiamare un'ambulanza..."
"Ah..."
Un'occhiata all'angolo della strada ci fece cogliere un essere umano rantolante, così misi a disposizione il mio cellulare, facemmo insieme la telefonata e, nel sentire la mia voce, ad un tratto la tipa del 118 mise giù.
Così.
Ero stato skifato dalla tipa del Pronto Soccorso!
Sono cose che fanno curriculum.
Richiamai passando il telefono allo sconosciuto, che invece (per fortuna!) venne preso sul serio.
Così, potemmo assistere festosi all'ambulanza che caricava il moribondo.
Non avremmo saputo dipingere un finale più degno per la grande giornata: era tempo di porre fine alla nostra avventura, pronunciando l'ultima parola della serata.
Ovviamente era vaffankulo.