L'ACCOGLIENZA
Seppure un po' a fatica, ero riuscito a fare stare tutta la mia roba in una di quelle comode valigie con le ruote che quelli che parlano figo chiamano trolley, per cui con i bagagli ero leggerissimo e, anche se il mio albergo era da tutt'altra parte rispetto alla stazione, ci arrivai senza problemi.
Il kompagno Gillette invece mi disse che a trascinare una valigia con le ruote si sarebbe sentito handicappato e anche un po' di destra, così passò il tempo trascinando se stesso o ciò che ne faceva le veci sotto il peso dei suoi tre borsoni dalla massa allucinante, finché, arrivato sotto il mio albergo, mi chiese di dare un'occhiata alla cartina per sapere dove sarebbe dovuto andare.
Il suo campeggio risultò essere a Capo Mele, la punta estrema di Laigueglia, ed era esattamente in cima alla montagna. In altre parole non era arrivato nemmeno a un quarto della strada e tutta la parte finale era in salita.
"Ma sì, in fondo sono contento - mi disse - perché salendo in cima alla collina con i bagagli aumento un casino la mia ENERGIA POTENZIALE!"
Guardai il kompagno per l'ultima volta e gli dissi addio, sicuro che non l'avrei più rivisto. Vivo.
Arrivato all'albergo offerto dal Percfest, constatai con gioia che la finestra della mia nuova camera non dava più sull'autorimessa dell'anno precedente ma su un terrazzo un po' diroccato con vista sulla via Aurelia, l'unica strada trafficata di Laigueglia. Unico dettaglio negativo, per accedere al terrazzo avrei dovuto scavalcare il davanzale, per un possessore di giovane corpo sono problemi irrilevanti, per me un po' meno ma pazienza. La camera comunque non era male, aveva il bagno, un ventilatore ed un televisore che riceveva tutte le emittenti nazionali più una rete porno satellitare sul canale 14. Quell'albergo mi iniziava a stare simpatico.
Complici le due ore di sonno totali del giorno precedente ero in un coma allucinante, ma decisi comunque di fare un giro nel budello per salutare i backline, i musicisti, il Pastrano, la Frappa, l'autistico Grumo e già che c'ero vedere qualche seminario.
Non fu un'idea brillante: venni immediatamente adocchiato dal Capo che mi spedì in magazzino a fare l'inventario delle magliette.
Il mio responso fu netto: "Sono 401!"
"Ma erano 500..."
"Mi sembra evidente che 99 se le sono già fottute - risposi - più o meno come l'anno scorso..."
Il Capo si allontanò pensieroso, il dottor Marok risolve.
E va be', in quanto addetto al merchandising mi sedimentai in piazza osservando la figa che passava, guardava e proseguiva schifata e contando tutte le persone conosciute e sconosciute che già indossavano le magliette del Percfest nonostante le vendite non fossero ancora iniziate.
Fu un piacere ritrovare i mitici backline
Angelo & Friends con cui ci eravamo fatti ghiotte risate l'anno scorso. Più guardavo Angelo Albani più pensavo che era uguale a Ligabue (non il pittore, l'altro), e dopo aver ricordato al grande Max che anche quest'anno ci sarebbero stati molti ospiti stranieri da accompagnare in macchina alla stazione di Alassio (vedi
Percfest 2003), feci la conoscenza con Lorenzo, una loro new entry che aveva un incredibile segno particolare: abitava a Laigueglia.
"Com'è Laigueglia d'inverno?" gli chiesi.
Se mi avesse risposto "mah, è un posto tranquillo in cui riposarsi e meditare lontano dai rumori della città" l'avrei mandato affanculo subito.
"Un SUICIDIO!" mi rispose.
Perfetto, Lorenzo era dei nostri.
Alla fine del pomeriggio avevo già nominato l'autistico Grumo revisore dei conti e avevo addestrato Angelo & friends a rifornirmi costantemente di acqua e granite dal gelataio in fondo alla piazza.
La maggior parte della gente che si fermava al banchetto mi chiedeva notizie di un gruppo Cubano che avrebbe dovuto suonare nel pomeriggio e di cui io non sapevo assolutamente un cazzo. Qualche ora dopo mi avvisarono che non erano potuti venire per problemi con il visto, così erano stati sostituiti con una band indiana. La notizia, diffusa per il budello in un battibaleno, aveva generato la crescita esponenziale di un razzismo spietato nei confronti di tutti gli indiani, senza nemmeno chiedersi se fossero quelli d'India o d'America. Passai il tempo guardandomi intorno alla ricerca di striscioni "Fankulo gli indiani viva i Padani", croci celtiche sui muri, immagini della Dea Kalì stampate su rotoli di carta da culo, ma per il momento nulla di fatto, l'unico evento degno di nota nella serata fu l'abbassamento repentino della temperatura.
Memore del gelo di tre anni prima, decisi di passare in albergo ad indossare abiti consoni alla glaciazione mentre l'autistico Grumo disse che in ogni caso era al mare e al mare lui indossava solo maglietta e pantaloni corti. Come dargli torto.
In quei frangenti incontrammo anche il kompagno Gillette, incredibilmente ritornato nel regno dei vivi.
Finalmente ci poté raccontare le sue impressioni sul prestigioso campeggio Capo Mele: era esattamente in cima all'ultima montagna che vedevamo all'orizzonte e per arrivarci occorreva fare una scalinata di qualche migliaio di gradini. Per arrivare alla scalinata occorreva fare un pezzo di Aurelia tutto curve e privo di marciapiede, in cui c'era il limite dei 30 all'ora e le macchine andavano a non meno di 130. La tenda del kompagno Gillette era nell'unico posto rimasto libero ed ovviamente era il più inculato rispetto all'ingresso, ovvero in cima. L'unico cesso invece era sotto, vicino all'ingresso, in più non c'erano fonti di illuminazione e lui non aveva la pila: in caso di diarrea notturna non gli sarebbe rimasto che generare un degno affluente del rio Colorado.
I discorsi del kompagno Gillette ci avevano messo appetito, e il Capo prontamente passò a distribuirci dei buoni per mangiare gratis in un posto chiamato La Ciassa.
"Che cazzo di nome è?" mi chiese il kompagno Gillette.
"È celtico/padano - gli dissi - vuol dire La Piazza!"
"Celtico??? Perché a Laigueglia c'erano i CELTI???"
"Perché, scusa, ti pare che in Liguria c'erano i PADANI?"
Il kompagno si convinse e si ammutolì.
La Ciassa era in piazza Garibaldi, di fronte al Pescatore che è il ristorante migliore del mondo. La somma della commestibilità dei locali di una piazza non può superare il più infinito, inoltre non avevo voglia di fare i cinquanta metri necessari, così presi i buoni per il semplice gusto di scroccare qualunque cosa a chiunque al mondo e li riregalai al kompagno Gillette, a cui affidai il compito di fare la cavia assieme all'autistico Grumo.
Ritornarono un'eternità dopo, dicendomi che il mangiare non era male, in compenso non c'era nessuno ma in ogni caso per servirli ci avevano messo cinquanta minuti. Il concerto intanto era iniziato.
CONCERTONE
Primo gruppo in scaletta il
META CHORO TRIO:
Beppe Fornaroli alla chitarra, Camilla Uboldi al violino, Marquino Bobo alle percussioni. Brasiliani nelle loro musiche e nei loro colori, forse un po' troppo uniformi ma tecnicamente molto validi. Il kompagno Gillette resistette dieci minuti e poi si addormentò.
Della Frappa ancora nessuna notizia, in compenso era salito un vento porco. I frizzanti spunti comici del Capo, del tipo: "Non ci avevano detto che qua a Laigueglia era Novembre!", scandivano lieti l'alternarsi dei gruppi sul palco, dall'ottimo
ERNESTTICO CUBAN JAZZ QUARTET
(Omar Lopez alla tromba, Ivan Bridon al piano, Daniel Martinez al basso ed Ernesttico alle percussioni) fino al tributo all'indimenticabile Miles Devis dei
54 MILES
(David Boato alla tromba, Bob Bonisolo al sax, Nico Menci al piano, Lorenzo Conte al basso e Walter Paoli alla batteria) che a voi ignoranti ricordo leggesi Five For Miles.
Il clima serio e raccolto dei musicisti sul palco era tuttavia allietato dal frenetico andirivieni del Pastrano sullo sfondo. Con la sua andatura sghemba dava un tocco di classe allo spettacolo intero, nessuno capiva che minchia dovesse fare ma guardarlo andare avanti e indietro rimanendo obliquo era veramente favoloso.
Neanche un cane in compenso aveva cagato le nostre magliette, eccetto quelli a cui avevamo ordine di regalarle. In realtà noi non sapevamo a chi avremmo dovuto regalarle, ma si usava che uno veniva da noi, diceva "sono Tizio, suono con Caio e Sempronio, mi servono cinque magliette!" e noi gliele davamo, mentre l'autistico Grumo con millimetrica precisione annotava tutto sul suo bloc notes, illudendosi che qualcuno un giorno avrebbe letto.
Alla fine della serata avevamo raggiunto un deficit catastrofico, ma in fondo eravamo solo all'inizio. Angelo & Friends passarono, videro la scena e risero per un quarto d'ora, poi ci dissero di mettere via la roba in magazzino assieme a loro perché non avevano più voglia di tenere aperto, e ci svaccammo da Mayflower per le Jam Session.
JAM SESSION
La Jam a gran sorpresa riproponeva il
META CHORO TRIO.
Sarà il contesto, sarà la birra, sarà la figa, ma stavano suonando molto meglio di prima, con un tiro pazzesco. Il Mayflower si riempì in un attimo, per una volta noi eravamo attaccati al tavolo dei musicisti e vedevamo benissimo, tutti gli altri ce lo potevano solo sucare. Fu da questa postazione privilegiata che il kompagno Gillette disse: "Ho sonno, me ne vado a dormire!" e si preparò a scalare la montagna che lo separava dalla sua prestigiosa postazione in tenda.
Non sapevamo se l'avremmo mai più rivisto vivo, ma in fondo chissenefotte.
Incurante del fatto che avevo dormito non più di un paio d'ore la notte precedente, dopo la fine della jam salutai l'autistico Grumo, andai a fare un giro sul lungomare con annessa birra e calumet della pace in compagnia dei backline e poi bruciai gli ultimi neuroni in spiaggia, perché andare a dormire prima delle tre è da froci.
Tanto la finestra della mia camera non si affacciava più sull'autorimessa, chi mi poteva svegliare il mattino dopo? Nessuno, quindi vaffankulo!