Con l'inizio della primavera erano ormai trecentotrenta giorni che il
Favone Grassone
mi triturava quotidianamente i coglioni con i suoi entusiasmanti racconti del
PercFest.
E quanto è bella
Laigueglia.
E quanto è figa Laigueglia.
E quanto ci si diverte a Laigueglia.
E quanto si gode a Laigueglia.
E peccato che tu l'anno scorso non sei venuto a Laigueglia perché
eri a Naja, quanto mi dispiace ahahah sborroh.
Al puro fine di prevenire l'estensione della frantumazione testicolare anche all'anno successivo, iniziai a considerare seriamente l'ipotesi di trasferire le mie interiora nella riviera Ligure, almeno per il periodo del PercFest.
Tutto ciò non poteva ovviamente avvenire senza il coinvolgimento attivo di qualche altro sfigato, ma chi poteva essere degno di tanta stima?
L'ORGANIZZAZIONE
Fresco dalla lettura dell'ultimo album di Asterix, decisi di rompere le palle alle allegre
Fave Romane. La risposta unanime fu:
"Ma sì, forse veniamo, tu intanto prenota un po' di posti!"
"Ma come... ma... quanti posti?"
"E che cazzo ne sappiamo, c'è
KraNpo che è a Helsinky!"
E così, tutto rimase congelato fino a maggio, quando finalmente il giovane KraNpo tornò da Helsinky.
"Ciao KraNpo, sono Marok! Allora, vieni a Laigueglia?"
"No!"
E si era fatto giugno.
Feci osservare alle altre fave romane che ormai era quasi impossibile trovare un albergo.
"Ma come Marok? Ma non hai prenotato? Ma allora vaffankulo!"
Ottocento telefonate e ottocento vaffankuli dopo, rintracciai finalmente l'unico albergo
"una stella" che aveva ancora posto.
Sarebbe stato un soggiorno indimenticabile.
L'ULTIMA TELEFONATA
"Ciao stronzone, alla fine vieni a Laigueglia?"
"Ciao Favone! Sì, vengo! Ma come ci becchiamo?"
"Non c'è problema, sono con un mio amico coglione che ha il telefonino. Domani ti manda un messaggio. Sborroh!"
LA VENUTA
"Favone ha leccato un piede
indi per cui sborra
come un dentifricio in superstrada".
Eh sì, dal primo messaggio l'amico Coglierto prometteva bene. Poi era molto romantico pensare che, mentre il favone sborrava come un dentifricio in superstrada, io mi incendiavo il culo sull'ultimo sedile ancora vuoto in tutto il treno, incandescente perché ubicato di fianco all'unico finestrino con la tendina a puttane.
In compenso, davanti a me c'era una bambina con la gamba ingessata.
"Mammina, stasera me lo fai fare il bagno?" "No, perché hai la gamba ingessata."
"Mammina, però domani lo faccio il bagno!" "No, perché hai la gamba ingessata!"
"Mammina..."
Il mio walkman e le mie cuffie furono subito invidiati da tutti gli altri compagni di sfiga, nonché di scompartimento.
PRIMI CONTATTI UMANI
Nonostante i timori da monostella, l'
Hotel Rosa di Laigueglia si rivelò una deliziosa oasi nel deserto del nostro handicap.
Duccio,
Mumble,
Emilio e
Shan
si erano sistemati in una camera che si affacciava sulle corde vocali di un quadrupede rompicoglioni, un concerto canino perpetuo, e mi avevano abbandonato ad un incerto destino nella camera okkupata dalle giovani donne:
Cicalona,
Lees@ e
Verdemela.
Pronto per subire l'imminente stupro, osservai con venerazione reverenziale l'habitat che mi circondava. Gli attaccapanni della Mela, abbarbicati sulla tapparella, la rendevano un'ermetica barriera contro l'aria e il mondo; ogni più remoto angolo dell'armadio era stato colonizzato da tonnellate di indumenti del genere più svariato, per la maggiorparte uniformi da Duccio's Angels, insomma tutto si prestava a farmi sentire come a casa Marok: rovesciai ogni cosa zozza sul mio letto e partii verso il lungomare, alla ricerca del
Favone Grassone.
Trovarlo non fu poi così difficile, bastò procedere per associazioni mentali e prendere una strada di Laigueglia a caso, la migliore: il
"budello".
Fu là, nella piazza centrale, quella che gli amici chiamano
piazza Marconi, che mi imbattei nella corpulenta sagoma di
un uomo dalla pelle fucsia, che vagava con aria assorta.
"Ciao Favone Grassone! Ma... che hai fatto alla pelle?"
"Vaffanculo, faccio quattro giorni di vacanza l'anno."
Ci pensò il suo fedele amico telefonista Coglierto a spiegarmi che quella mattina il Favone si era spalmato addosso una sedicente lozione protettiva che conteneva alcool a 90 gradi.
Non contento, si era poi messo a prendere il sole nell'ora in cui in spiaggia andrebbe a fuoco un blocco di cemento, assumendo dopo un quarto d'ora l'aspetto di una melanzana fritta nell'olio e poi messa in forno con pomodorini, mozzarella ed abbondante parmigiano.
Si era allora rifugiato sotto la doccia rinfrescante dell'albergo, riuscendo a ustionarsi perché il boiler era al massimo e lui non se n'era accorto; in compenso, era poi rimasto appollaiato sul cesso per il resto della giornata perché, a causa dell'imponente sbalzo termico, le farinate di ceci ultrapepate che aveva ingurgitato per tutta la mattina avevano indetto uno sciopero, attuando i massimi livelli della disobbedienza civile all'interno del suo grasso intestino.
Mi rivolsi verso il Favone per dargli il mio supporto morale, ma in quel momento era scollegato, e ripeteva con lo sguardo perso nel vuoto sempre la stessa frase:
"Vaffanculo, faccio quattro giorni di vacanza l'anno."
Sono cose che fanno pensare.
Solo in quel momento incontrai le altre fave, che mi vennero incontro festose dicendomi:
"Ma il Favone Grassone è lui? Ce lo presenti?"
Il corpulento Favone grugnì e l'impresa cadde nel vuoto.
I RIFORNIMENTI
Il Favone e l'amico Coglierto ci comunicarono che se ne andavano a vedere un seminario, ma ci dettero appuntamento entro breve nella pizzeria di Affanculo.
Duccio rispose che gli faceva schifo mangiare a quell'ora e che chi mangia a quell'ora è coglione. Subito dopo ci seguì in pizzeria.
La pizzeria di Affanculo era proprio un bel posticino; la tristezza del parterre ricordava molto una mensa aziendale, ma i neon chirurgici che la illuminavano rendevano il tutto molto più allegro.
A riportare la tristezza due elementi: il cibo e il conto.
In compenso la compagnia era quella delle grandi occasioni, Arale e Chups disquisivano del perché dell'esistenza del jazz,
Rese insidiava la Cicalona con i racconti del suo
terzo capezzolo e il Favone Grassone ci confezionò una ghiotta sorpresa: era con lui la mitica Sabrina Purilla, la tipa incontrata a Genova che è di Torino ma vive a Roma e ha l'accento di Milano.
Dopo lunghe indagini venimmo a sapere che era lei la detentrice del
piede succhiato dal Favone quella mattina, e la scoperta disintegrò in un batter d'occhio quel misero residuato di appetito che la vista del cibo non aveva ancora biodegradato.
In ogni caso, tutti mangiavano con la massima calma, perché tanto per prendere posto al concerto c'era tempo. No?
Verso le otto provai a obiettare che forse era il caso di prendere qualche posto; di fronte al vaffanculo generale, capitanai una spedizione per salvare il salvabile, per poi constatare come il concetto di
"posti liberi" fosse ormai pura ed evanescente utopia.
Ripiegammo sui tavolini del dehors di un bar in fondo alla piazza; si vedeva poco ma, in compenso, non avremmo sentito un cazzo, perché eravamo in mezzo al casino.
Dopo mezz'ora le ultime fave tornarono con placida spensieratezza dalla pizzeria e ci salutarono con la seguente frase:
"Ma non potevate prendere dei posti più avanti? Ma vaffanculo!".
E stava per iniziare il concerto. Gruppo della serata: la
Biba Band.
IL CONCERTO DELLA BIBA (prima parte)
La
Biba è una grande orchestra jazz che raccoglie svariati musicisti in momentanea
"vacanza" dalle proprie band, divisi da storie e formazioni, ma accomunati dalla passione per i Weather Report e, soprattutto, dal fatto di cantare e suonare sfoggiando un paio di enormi controcoglioni.
Se volete sapere di più sui
"Weather Report"
cercate pure notizie su Virgilio,
verrete così mandati direttamente al
sito del Tunnel Gran San Bernardo e la vostra vita cambierà per sempre.
Se però ad un più attento esame vi doveste imbattere in un certo
sito dedicato a Joe Zawinul... be'... esploratelo con gioia!
IL CONCERTO DELLA BIBA (seconda parte)
Più la musica andava avanti, più si capiva che ci trovavamo di fronte ad un concerto da orgasmo.
La
scaletta
era un viaggio tra i grandi classici dei Weather Report, notevole la maestria di tutti i musicisti, ottima la performance del trio Meyer/Pacho/Furian, nonché l'eccezionale assolo di batteria di Agostino Marangolo ed Ellade Bandini.
La mia preferita fu
"Confians" (o
"Confiance", come scritto in scaletta, fate un po' voi), una canzone meravigliosa, cantata in una lingua sconosciuta sul pianeta Terra (forse francese), cantata in coro dalle tre voci di Paola Folli, Francesca Touré e Barbara Boffelli, con un crescendo finale da paura.
Anche l'acustica era eccezionale: nonostante le peggiori premesse, da quel remoto dehors sentivamo da Dio... o, meglio,
"avremmo sentito", se Arale per tutto il tempo non ci avesse deliziato con le sue lagne per il fatto che lei quella musica non la capiva perché era ignorante. Tutto ciò nella registrazione del mio minidisc, per la vostra gioia!
Quello che invece NON vedrete sono le mimiche facciali di quell'assurda creatura che è Elio. Per quanto si sforzi di rimanere serio, quell'uomo non è umano.
BACKSTAGE
Il concerto finì verso l'una e mezza, ma, prima che nella piazza la densità della folla scendesse al di sotto dei due esseri umani per centimetro quadrato, si fecero le due.
Il Favone Grassone ostentava con serio rigore il programma dettagliatissimo di ogni avvenimento della tre giorni musicale, snocciolando tempi e luoghi con la precisione e la sicurezza di un novello ragionier Filini.
"Ora tutti da Pacàn! - ci disse
- C'è la
jam session!
La serata continua!"
Mandatolo allegramente affanculo, lo osservammo perplessi mentre si allontanava con passo spedito, trascinando con sé l'incredulo amico Coglierto, e ci fiondammo dietro al palco per un saluto ai nostri amici musicisti.
Elio passò di fianco a Lees@, vide che aveva il libretto di Made in Japan e una penna e le chiese:
"Ma tu vuoi un autografo?"
"Sì ma non da te! - gli rispose Lees@
- lo voglio da
Pi Costa, che nel libretto non me l'avete neanche ringraziato!"
Dura la vita del Vip.
In ogni caso, un'ora di cazzeggio con i simpatici Bibaioli ci condusse guarda caso proprio alla birreria Pacan, per concludere in bellezza la serata. Solo quando ci videro al tavolo con Elio, il Favone Grassone e Coglierto abbandonarono la loro postazione strategica (in coda fuori dal locale) per unirsi con noi nell'allegro dehors.
Ben presto, sotto la direzione del Favone Grassone, si generarono scene di
ordinario feticismo del piede,
alle quali Elio partecipò con gioia.
Dal piede alla musica il passo è però breve, e, parlando di James Taylor, il riferimento alla cover
Orrendi Nei era inevitabile.
"Eh, quella canzone - ricordava malinconicamente Elio
- l'avrò fatta una volta..."
UNA VOLTA? ORRENDI NEI??? Sono frasi come queste che innescano nelle menti più turbate i peggiori istinti animali! Così, per evitare di seguire le orme di John Lennon, il cantante fu costretto a darci ragione:
"Ok... tre volte!"
Tsk... questi cantanti... mai contraddire il giovane MaRoK.
Tuttavia, il fanatismo maniaco portò ben presto l'allibito Elione ad intraprendere un lungo viaggio tra i lontani ricordi degli esordi del complessino, snocciolandoci molti segreti dei primi anni della band, l'incontro con Rocco Tanica, la genesi di alcune canzoni, finché, contemplando il bicchiere di birra vuoto, non sentenziò, con voce roca:
"MOSCHE... NON ESISTE!"
Ci era caduto un mondo.
E si erano fatte le quattro e mezza.
Per quel giorno avevamo vissuto davvero troppe emozioni, il freddo diventava pungente e la scomparsa di Mosche aveva rigurgitato la fine di un'era nella nostra flora intestinale. Così, salutato l'Elione, ci trascinammo verso l'albergo, in compagnia di
Manu e Rese, che col nostro albergo non c'entravano per l'appunto un cazzo.
"Tu dove dormi?" chiedemmo a Rese.
"Ah, io dormo in macchina!" rispose
"Ah... ok. E tu, Manu? Dove dormi?"
"Mah... - rispose Manu
- Adesso vedo!"
Non avevamo più la forza di stupirci, il miracolo si era compiuto: anche Manu aveva parlato.
E così ci potemmo mandare cordialmente affanculo e ci internammo nei nostri letti, pronti per affrontare con fare sicuro il secondo lungo giorno della nostra odissea.